Che
libri scegliere per bambini e ragazzi? Beatrice Masini lo chiede ai
genitori, ma soprattutto all’editoria italiana, che a suo giudizio
è su una strada sbagliata, considerando i libri come “prodotti”
che rispondono a leggi di mercato. Ma non è così, e lei, editor
Rcs, scrittrice e traduttrice per l’infanzia (anche di Harry
Potter), venerdì scorso ne ha parlato al convegno “L’italiano
che leggono gli italiani” organizzato dal Dipartimento di Filologia
Classica e Italianistica a Palazzo Pepoli. Due giorni coi traduttori
per parlare dell’italiano usato per i testi stranieri, ma per la
Masini anche un momento per porre un problema grave.
Ai
genitori la Masini consiglia di ascoltare «librai e bibliotecari,
eroi del nostro tempo. Poi gli insegnanti documentati sulle uscite».
Che sono tante, «una produzione moderna, ampia, non di soli libri
alla moda che spariscono alla svelta. Ci sono anche nuovi classici,
che non invecchiano». Cita Il piccolo orsacchiotto di
Else Minarik con illustrazioni di Maurice Sendak, edito da Bompiani e
ora da Adelphi col titolo Orsetto, e A caccia
dell’orso di Michael Rosen con disegni di Helen Oxenbury,
«che condividono temi semplici, ritmo, sfida, gioco di ruolo,
avventura, paura. Libri che il bimbo si fa leggere decine di volte,
con una lingua preziosa e speciale, un testo in cui ogni parola ha il
suo peso, senza tranelli, essenziale, e le immagini coinvolgono, più
sofisticate in Sendak, più semplice la Oxembury».
Sono
libri tradotti, ma potrebbe citarne di italiani: «Siamo arrivati
tardi – spiega – ma abbiamo corso forte, e l’esportazione dei
nostri libri illustrati è maggiore dell’importazione, anche se gli
ultimi due anni sono stati difficili per tutti». Ma il mercato
nasconde insidie, fin dagli albori, perché «l’industria
dell’editoria per ragazzi diventa business», e
dopo Pinocchio «arrivarono tanti volumi più
didascalici e moralistici». E aggiunge amara: «le cose sono
cambiate poco».
«Oggi
si cercano prodotti, non libri. Serializzazioni di personaggi
televisivi, con testi pieni di punti esclamativi, che ammiccano. Per
il bimbo di 3 o 4 anni la ripetizione è fondamentale, ma qui c’è
un’asfissia della lingua, che sottrae, non semplifica. Il rischio è
tagliare a pezzi un lombrico e vedere spuntare tanti lombrichini,
tanti libri uguali, che il bimbo riconosce, ma per essi non
“conosce”». Una strada il cui orizzonte è inquietante: «ciò
che non riconosco non lo seguo». Per superare il rischio servono due
parole: «rispetto e sfida. Rispetto per il bambino che non deve
essere chiuso in un bozzolo, e avere il coraggio di spostare
l’asticella più in su».
Il
bambino «deve scoprire, bisogna avere fiducia nella sua intelligenza
e capacità deduttiva», e legge l’incipit di Polissena del
porcello di Bianca Pitzorno, ambientato in un luogo e un
tempo lontani da noi, «che il bimbo si figura, grazie a una storia
precisa, forte, chiara, con una voce non banale, pensata apposta per
la storia, una lingua non ricercata ma cercata». E legge Aidan
Chambers, Muoio dalla voglia di conoscerti, per giovani
adulti: «dialoghi veloci, senza una parola di troppo, e tutte al
posto giusto, senza sciatteria». Oggi invece «c’è chi crede che
si debba inventare una lingua franca fatta su misura per parlare ai
bimbi, una lingua finta, uno slang falso che invecchia subito. Ma i
bambini devono far fatica sui libri, bisogna che i genitori si
assumano la responsabilità di aiutarli, per allevare ragazzi capaci
di leggere qualsiasi cosa. Dobbiamo scegliere, è il nostro mestiere
di adulti. E allora W le parole e i libri difficili!» Una sfida, per
genitori ed editori. Peccato allora leggere in questi giorni che,
nella riorganizzazione in atto alla Rcs, la Masini non sarebbe più
editor del catalogo ragazzi.